I Makonde: un popolo orgoglioso!

 

TUTTE LE IMMAGINI DI QUESTO ARTICOLO SONO FOTO RARISSIME E SI RIFERSCONO

 AL TEMPO DELLA GUERRA DI INDIPENDENZA (1965-1975)

QUANDO LA MISSIONE FU OCCUPATA DALL’ESERCITO COLONIALE PORTOGHESE

 

 

Passati i primi mesi di adattamento e decantazione dei sentimenti e mentre si cercava di individuare i bisogni e le aspettative di questo meraviglioso popolo per darci un programma di vita, frati e suore ci trovammo improvvisamente davanti ad un evento inaspettato: l’accordo di pace tra i guerriglieri della Renamo e il governo mozambicano firmato a Roma il giorno di S. Francesco d’Assisi del 1992.

 

 

Ci sentimmo coinvolti e quasi gettati dentro al processo di pace per influenzarlo positivamente. Ci rendevamo conto di quanto fosse delicato il passaggio dalla guerra alla pace: sospetti, sfiducia, diffidenza, odio e ostilità portavano i due eserciti a continue scaramucce e scontri armati. Era necessario rischiare e farsi mediatori di pace con incontri con i responsabili dei due eserciti per facilitare la consegna delle armi da parte dei guerriglieri e l’accantonamento di tutti i militari, diffondendo nel popolo la cultura del perdono e l’accettazione delle diverse ideologie.

 

 

Oltre alla ricostruzione del tessuto sociale, ci sembrò importante contribuire a quella del tessuto economico con aiuti e interventi per incentivare la ripresa economica attraverso la donazione di strumenti di produzione: la gente preferiva avere l’amo per pescare e non il pesce già pescato!

 

 

Anche l’igiene fu oggetto della nostra attenzione con la produzione artigianale del sapone. Intanto, proprio in quei mesi, si diffuse una grave epidemia di scabbia che in poco tempo contagiò migliaia di persone. Con le suore si corse ai ripari: con olio e zolfo si preparò una pomata da spalmare sul corpo. Si istruirono i responsabili delle comunità e fu distribuito un centinaio di chili di questo unguento. Santa cosa! In poche settimane l’epidemia fu sconfitta!

 

 

Per dare il via alla nuova evangelizzazione programmammo una “missione popolare”, chiamata in shimakonde mapundisho a upamo, una sorta di catechesi generale, fatta a livello centrale, innanzitutto per i centottanta animatori di tutte le comunità convocati per una settimana nella sede della missione e poi, a livello locale, in ognuno dei ventiquattro villaggi del distretto, dove vivevano le ventiquattro comunità cristiane. Si diede così il via alla nuova evangelizzazione e ad un aggiornamento sul cammino che la Chiesa universale e quella mozambicana avevano compiuto negli ultimi decenni.

 

 

Altro evento importante e in continuazione con i temi della missione popolare, fu la celebrazione del 70° anniversario della fondazione della missione di Nangololo. Una catechesi radicale non solo nell’ambito delle nostre ventiquattro comunità, ma rivolta anche alle missioni generate dall’azione missionaria dei padri monfortani: Mweda, Nangade, Imbuo, Palma, Mocimboa da Praia, Chai e Macomia. Durante i mesi di preparazione, in tutte queste missioni si tennero tre giorni di intensa catechesi. L’ultimo giorno fu dedicato alla celebrazione dei sacramenti.

Il 24 novembre 1994 si celebrò il 70° della fondazione della missione. E fu festa!

 

 

Ore e ore di confessioni dei numerosi sacerdoti intervenuti precedettero la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal nunzio apostolico Peter Zurbriggen con la partecipazione dei vescovi Manuel Vieira Pinto e Januário Nhangumbe. Non meno di diecimila persone, venute da tutte le missioni dell’area makonde, parteciparono alla celebrazione.

Frutto e segno della celebrazione del 70° fu l’istituzione di una scuola secondaria di secondo livello chiamata in makonde Vyaka Sabini, cioè  “Anno 70°” , che aprì le porte il 26 febbraio 1996, dopo lunghe trattative col Ministero [FM1] [FM2] dell’educazione e con le suore della Consolata, che ne assunsero la direzione.

 

 

Il 6 febbraio 1996 arrivò in missione, da Castellana Grotte, il primo laico: Antonio Baccarelli, un giovane odontotecnico per professione, fotografo per passione e conduttore radio per hobby, appassionato osservatore della fauna della foresta ed esploratore delle ricchezze del cielo notturno dell’emisfero sud del cosmo col suo potente cannocchiale!

 

 

Gratitudine al Signore perché in quell’ultimo tratto della mia vita missionaria un sogno, accarezzato per lunghi anni, era diventato realtà: favorire l’apertura della vita ed esperienza missionaria ai laici. Erano passati 10 anni da quando, in un convegno missionario davanti all’amico don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, avevo lanciato a Giovinazzo, per la prima volta in Puglia, la campagna col tema: “Se scoppia la pace in Mozambico qualcosa succederà a...” prospettando agli animatori presenti la possibilità per loro di fare una esperienza missionaria in Mozambico.  

 

 

La prima volta, Antonio rimase in missione per due anni. Poi dal 1998 al 2002 vi ritornò ogni anno durante le sue ferie e, infine, dal 2003 vi rimase per quattro anni. Allestimmo un laboratorio odontotecnico che lungo gli anni, grazie alla venuta di altri laici dentisti, si trasformò in uno studio dentistico. Cosa bella vedere i makonde con denti bianchissimi, loro che da giovanissimi li perdono tutti a causa dell’affilamento dei denti durante le cerimonie dell’iniziazione!

 

 

Con Antonio Baccarelli creammo anche uno studio fotografico e l’emittente “Radio S. Francesco d’Assisi”. Bello vedere ordinatamente in fila centinaia di persone per le foto necessarie ai documenti e, infine, dal 10 agosto 1996 sentire la voce di Antonio che si diffondeva dalla “Radio S. Francesco d’Assisi di Nangololo”!

 

 

Era stato possibile realizzare tutto questo grazie anche all’intervento dell’ingegnere Pinuccio Colella di Bari, che con sua moglie Dorotea, farmacista, vennero per due volte chiamati con un S.O.S. per risolvere i problemi tecnici dei laboratori, per montare l’emittente della missione e mandarla in onda!

 

 

Anche un’altra coppia, Gianni e Maria Rosa Speranza di Trento, è stata chiamata per due volte per problemi edili. Grandi lavoratori, ognuno nel suo campo, hanno rimesso a nuovo la chiesa e la casa dei frati e delle suore. Insieme a loro, durante i miei sei anni di permanenza a Nangololo, sono passati dalla missione tanti altri laici e molti frati e suore, tutti impegnati a mettere la propria tessera per contribuire alla creazione del mosaico che il Signore stava costruendo! Bellissima è stata l’esperienza di varie coppie di sposi novelli e di altre coppie che hanno vissuto insieme l’esperienza e il senso della missione.

 

 

Nangololo ha esercitato sia in Italia che in Mozambico un grande fascino per il suo popolo, per la sua cultura, per il suo modo di essere, per il suo ambiente di... paradise lost che scherzosamente traducevamo, per la curiosa assonanza per noi italiani con last paradise, come “paradiso perduto o ultimo paradiso... dietro l’ultimo baobab a destra”!

 

 

Sogni e sogni ancora sotto il cielo stellato di Nangololo! Le cinque chiese costruite con finanziamenti di persone e organizzazioni internazionali, che non le hanno mai potute vedere realizzate, fidandosi solo dei progetti che si proponevano loro! Solo don Vincenzo Di Bello della parrocchia del Sacro Cuore di Monopoli ha potuto godere della cappella da lui finanziata per intero, ha goduto della gioia delle persone, ha potuto benedire la “sua” chiesa e pregarvi con la gente che in un’altra lingua poteva cantare le lodi del Signore Dio!

 

 

Tutta la missione rese grazie a Dio per il cammino catecumenale inaugurato nel 1994: era la prima volta nella missione che tutti coloro che il Signore chiamava alla vita cristiana venivano preparati attraverso il classico cammino catecumenale suddiviso in tre tappe lungo tre anni di catechesi. Gli stessi animatori non conoscevano il cammino catecumenale, perciò si fece un lavoro di base per spiegare a tutti questa nuova metodologia ecclesiale.

 

 

E fu festa durante la celebrazione delle tappe e specialmente nella celebrazione dei ritiri quaresimali per la preparazione al battesimo. Il tempo d’Avvento e di Natale del 1997 fu gioia pura e splendida che si diffondeva in tutta la missione e si trasmetteva di comunità in comunità man mano che gli eletti rinascevano a vita nuova attraverso la celebrazione del battesimo. Con i catecumeni furono battezzati anche i bambini, loro figli, e un gran numero di famiglie celebrarono il matrimonio!

 

 

Veramente commovente fu la cerimonia chiamata in shimakonde Njeni ingande kwa ingande, cioè l’Ospite di casa in casa. «Dal giorno del battesimo il grande Crocifisso della cappella di ogni comunità visitò la casa di ciascun neofita, rimanendovi per un giorno intero. Ogni giorno la comunità si riuniva nella casa dove era l’Ospite, per recitare il rosario e per accompagnarlo nella casa dell’altro neofita!».

 

 

Poi vennero i giorni della solitudine e della tristezza quando sorella morte visitò la nostra fraternità. Il 22 aprile 1996 morì a Terlizzi fra Giocondo Gaudioso. Si era ammalato gravemente nel mese di settembre del 1995 ed era tornato in Italia. Di lui avevo scritto nella cronaca della missione: «Aveva 72 anni, ma era ancora molto valido. Era venuto in Mozambico l’1 gennaio 1963. Gli ultimi anni li ha trascorsi con me a Nangololo. Era stato il primo cappuccino a rispondere positivamente all’invito di dom Januário di riaprire la missione di Nangololo.

 

 

Quando fu operato, io ero in Italia. Prima di tornare in Mozambico, andai a salutarlo. Mi disse: “Salutami tutti i cristiani di Nangololo. Chiedo che preghino per me, io prego per loro e offro la mia vita per la nostra missione. Appena starò bene e potrò viaggiare tornerò a Nangololo. Voglio rimanere e morire ed essere seppellito in quella missione che è stata l’ultima della mia vita”. Sento la mancanza di questo frate buono e coraggioso, compagno del lungo viaggio per le strade dell’altopiano makonde. A lui, appassionato di fotografia, la missione ha intitolato lo studio fotografico allestito da Antonio Baccarelli».

 

 

Io rimasi solo in missione col trasferimento a Quelimane di p. Piergiorgio Armellini, che era andato in Italia per un periodo di meritato riposo subito dopo la celebrazione del 70°, per organizzare la quale si era notevolmente impegnato facendosi carico di tutti i lavori più pesanti. Al suo ritorno, a fine marzo del 1995, non potette più rientrare a Nangololo.

La missione tirò un profondo respiro di sollievo un anno dopo quando, il 7 marzo 1996, p. Leone Giuseppe Innamorato da Mola di Bari fu destinato a Nangololo. Era venuto in Mozambico nel 1968.  

 

 

P. Leone è stato un missionario di lungo corso, un autentico poliglotta. Per lunghi anni si è dedicato allo studio delle lingue bantu l’ekarungu, l’emaindo e infine l’elolo e il chisena. In queste lingue ha tradotto e pubblicato il Messalino, il Nuovo Testamento, il catechismo ed altri libri. Ma il lavoro veramente monumentale è la traduzione di tutta la Bibbia in lingua elolo, come anche la composizione di una grammatica in lingua ekarungu ed una raccolta di proverbi nella stessa lingua, tutti lavori che non sono stati ancora pubblicati a causa del suo cattivo stato di salute, che lo ha costretto a ritornare in Italia dopo 49 anni di totale immersione nel complesso mondo di culture e lingue zambeziane!

 

 

Arrivato a Nangololo si diede allo studio della lingua makonde. In pochi mesi ormai si esprimeva senza bisogno di un interprete. P. Leone era uno di quelli che si chiamano “missionari camminatori!” Con la sua motocicletta, una Suzuki 50, era sempre in movimento, ad una velocità fissa, non oltre i 30 km orari, e, con un grosso cesto legato sul portabagagli contenente l’occorrente per la celebrazione e la catechesi, si avventurava verso i villaggi più lontani ed impervi dell’altopiano makonde.

 

 

A lui, l’ultimo arrivato in quel “paradiso perduto, dietro l’ultimo baobab a destra”, sarebbe toccato, dopo appena due anni dal suo arrivo, il doloroso e imbarazzante gesto di chiudere la porta della missione del Sacro Cuore di Gesù di Nangololo e consegnarne le chiavi alle suore della Consolata! La scarsezza di personale missionario costrinse i superiori a prendere questa difficile decisione, dopo solo sei anni e tre mesi da quando i Cappuccini vi avevano messo piede.

 

 

Il 15 febbraio 1998 Antonio Baccarelli aveva terminato i suoi due anni di volontariato; io, dopo i sei anni di intenso lavoro, ritornavo in Italia per un anno di aggiornamento. Quella mattina celebrammo l’Eucaristia di commiato. La grande chiesa, fresca di restauro e riportata a nuovo, era piena come nelle grandi occasioni. Antonio salutò così la gente: «Non dimenticherò mai le lunghe camminate di giorno e di notte per i vostri dindila (sentieri) che mi hanno dato tante emozioni. La gioia di ritornare a casa è mescolata con tanta nostalgia di tutto e di tutti voi. Il mio cuore è stato segnato da un invisibile e indelebile inembo (tatuaggio), per questo voglio dirvi: io parto e, insieme, arrivederci se Dio vorrà! Forse ci rivedremo ancora!».   

 

 

Io, dopo la messa, col cuore carico di emozione salutai così la mia gente di Nangololo: «Tundonana kavili, Nnungu akhalota! (arrivederci, se Dio vorrà). Tutti sapete come mi son trovato bene tra voi. Grazie per l’amore che mi avete donato! Porto con me tutte le cose buone che ho vissuto con voi. Le racconterò a tutti coloro con i quali parlerò di voi!

 

 

Grazie per il ritmo della vostra danza mapiko. Quando i vostri danzatori si avvicinavano a me con la loro lipiko (maschera ad elmo), sentivo battere forte il cuore come se stessi a vivere una iniziazione al vostro mondo makonde. Porto con me la ricchezza della vostra cultura, la dolcezza della vostra lingua, la dignità e fierezza del vostro portamento, la caparbietà con cui affrontate la vita, gli armonici disegni dei vostri dinembo (tatuaggi) stampati sul vostro viso e sul vostro corpo, gli ndona (piercing) che fieramente le vostre donne portano sul labbro superiore;

 

 

i vostri miule, il gruppo di alberi che voi piantate in cerchio per ricordare l’iniziazione di ognuno dei vostri figli e che svettano come monumento vivo; le vostre opere d’arte scolpite in ebano o avorio come le ujama e i shatani, espressione della vostra forza creatrice e della immensa riserva di fantasia e di immaginazione per raccontare artisticamente la vostra storia e la vostra cultura e la religione dei vostri antenati; il sapore del vostro cibo;

 

 

la vostra dedizione e fedeltà personificate in Cristóvão Colombo Felix, Luis João Awikile e la squadra dei “vana va maka”, vostri figli che vi rappresentano tutti: essi, come tutti voi, hanno servito e amato la Missione (oggi ridotta in polvere e cenere ma forte nella speranza di essere ricostruita), e custodito e diffuso il dono della fede in Cristo Gesù e il dono dell’amore alla Sua santa Madre Maria, che hanno fecondato la vostra vita e la vostra cultura! Asante sana! Ciao orgoglioso e nobile popolo makonde!

 

FRA FRA

 


 [FM1]

 [FM2]